Miniserie in 2 episodi del 2015, prodotta dal National Geographic (e purtroppo attualmente da noi introvabile), Saints and Strangers ci porta nel Nuovo Mondo. Anno: 1621: si celebra per la prima volta quello che diverrà Il Giorno del Ringraziamento (the very first Thanksgiving). Ma un anno prima di allora, una nave carica di un centinaio di disperati sta per sbarcare in una terra ostile…
A bordo della ‘Mayflower’ ci sono i Santi, un gruppo di Puritani scappati dal loro paese natìo a causa della fede. E gli Stranieri, un misto di fuggiaschi e avventurieri, a cui poco era rimasto da perdere restando nel vecchio mondo.
Una volta toccata terra, avranno a che fare con uno sciagurato inverno – che si porterà via la metà di loro. Ma la popolazione indigena, dopo molte perplessità, deciderà di aiutarli. La tribù di Wampanoags fornirà loro le prime indicazioni per coltivare le piante locali. Grazie a questo prezioso aiuto, Santi e Stranieri – Saints and Strangers – potranno sopravvivere. In cambio, aiuteranno i Wampanoags a combattere i nemici locali.
Il patto verrà suggellato da un grande pranzo di ringraziamento tra immigrati e nativi. Fu il primo vero Thanksgiving, il Giorno del Ringraziamento che tutt’oggi si festeggia in tutta America.
Un quadro anti-epico dei conquistatori venuti dall’Europa
Saints and Strangers è stata accolta dalla critica con entusiasmo. Anzitutto, non ha nulla di epico: si limita a narrare i fatti. Parte con una lunga e penosa ricostruzione degli ultimi giorni in nave. Ammassati, sporchi e belligeranti tra loro, i ‘migranti’ arrivano a destinazione. Non esattamente quella prevista; avrebbero infatti dovuto raggiungere altre colonie, ma non ce l’hanno fatta. Senza cibo, scendono dalla Mayflower e, nel freddo autunno, presagiscono ulteriori stenti.
La star di Mad Men Vincent Kartheiser interpreta il pellegrino William Bradford. Un uomo che avrebbe poi fondato e governato l’insediamento della Colonia di Plymouth. Kartheiser dice che il suo personaggio, e la lotta dei pellegrini per la sopravvivenza, gli hanno insegnato il vero valore della festa che celebra da sempre. “I Pellegrini sono arrivati senza nulla, sono sbarcati in inverno, hanno dormito al freddo e si sono ammalati, eppure erano grati. Questo è il senso del Ringraziamento. Ho un vero apprezzamento per quello che hanno passato e per il loro stato d’animo.”
In Saints and Strangers c’è un quadro ben diverso da quello dato dai ‘conquistatori’. I coloni sono infatti una manciata di gente ridotta allo stremo, che non sarebbe sopravvissuta senza l’intervento della tribù dei Wampanoags.
La complessità linguistica di Saints and Strangers
Qui si apre un altro capitolo, senz’altro il più interessante di questa miniserie. Gli “indiani”, divisi in tribù, parlano la lingua originale dell’epoca, il western abenaki. Tutti gli attori – che interpretano i nativi – hanno dovuto imparare in fretta e furia, grazie ad un dialect coach, questa lingua praticamente estinta. La lingua di Pocahontas, per capirci.
Saints and Strangers è per metà sottotitolata – e i dialoghi degli indigeni sono estremamente consistenti. Ci permettono di capire la loro angoscia, mista a pietà, per i pellegrini. Li osservano da lontano morire di fame e di stenti. Che fare: restare a guardare morire donne e bambini? Inoltre questi stranieri hanno armi e capacità belliche, e potrebbero quindi tornare utili contro i nemici locali. Esitano a lungo, terrorizzati soprattutto dalle malattie che la gente d’oltremare portava. È risaputo che la maggior parte dei nativi morì a causa dei morbi europei, contro i quali non avevano anticorpi.
Ruolo essenziale nella storia è quello del mediatore Squanto, interpretato dall’attore Kalani Queypo, membro fondatore del “Comitato Nazionale Indiano Americano”. Squanto fu un nativo americano effettivamente esistito, che una decina d’anni prima dell’arrivo dei pellegrini, era stato rapito da altri europei, ridotto in schiavitù e portato prima in Inghilterra e poi in Spagna. Era poi rocambolescamente ritornato nelle sue terre d’origine, scoprendole però macchiate inevitabilmente di sangue. I colonizzatori avevano ucciso tutta la sua tribù, costringendolo a vagare fino ad arrivare nel luogo dei Pellegrini.
Farà da interprete tra i superstiti della Mayflower e le tribù locali. Spesso mettendosi in una posizione di doppiogioco, falsando le traduzioni a suo vantaggio e facendoci comprendere le sfumature d’intenti dei nativi.
Tra i raccomandati c’è pure l’inamovibile e alcolizzata Itala (Roberta Fiorentini), la segretaria di edizione, probabilmente l’unica che segue, commuovendosi, Gli occhi del cuore. Di trash in trash si arriva a Biascica (Paolo Calabresi), il romanissimo e gretto capo elettricista, con schiavo al seguito – Lorenzo (Carlo Luca De Ruggieri) – il cui soprannome è appunto ‘schiavo’.
Uno scavo affascinante e originale delle due parti
Il complesso tuffo nella lingua antica locale potrebbe risultare pesante allo spettatore. Il quale, però, solo grazie a questo può davvero immergersi – almeno in parte – in quello che era stato uno dei maggiori problemi tra i due ‘mondi’: il linguaggio.
L’attore Queypo, in varie interviste, ha raccontato il suo entusiasmo per questa produzione. “Si respira il forte impegno nel dar vita a una sceneggiatura che analizza le difficoltà e le piccole vittorie di queste persone. Persone che volevano fare qualcosa di grande, ma non sempre hanno preso le decisioni migliori. È la nostra storia, bella o meno. È una parte importante di ciò che siamo come americani. Nella storia del cinema ci sono caricature dei nativi americani grossolane, e che la gente purtroppo accetta come verità. La serie è stata un’opportunità per far rivivere una storia che è multidimensionale e riguarda persone sofisticate, con sentimenti. E un’opportunità per me di far parte di un racconto che non ha solo integrità e verità, ma anche umanità.”
Saints and Strangers rimane uno dei pochi documenti tutt’ora prodotti su questo capitolo di storia, che per molti secoli è stato bistrattato e falsificato. Nonostante la sua dimensione un po’ didattica, la miniserie resta un importante momento di studio delle tradizioni e degli atteggiamenti di ambo le parti. Una complessità che risulta ancora difficile da digerire, oggi, soprattutto in America.
Saints and Strangers e il politicamente corretto
Diverso tempo fa, mi trovavo a New York con mia figlia – che all’epoca aveva solo quattro anni. e che, come quasi tutti quelli della sua età, amava i dinosauri. Tappa obbligatoria, dunque: il Museo di Storia Naturale, che da fine ‘800 troneggia nell’Upper West Side di Manhattan. Assecondando l’entusiasmo filiale, mi ritrovai a vagare per corridoi di fossili, animali ricostruiti con maggiore o minore perizia e dovizia di particolari, e altre mirabilia del caso.
Ad un certo punto, ci siamo infilate nella sezione delle ‘ricostruzioni di scene naturali’. Dentro teche debolmente illuminate, animali imbalsamati e altri oggetti di scena, misti a natura finta, davano vita a lupi nella foresta, serpenti nel deserto, orsi polari nel ghiaccio e così via. Ad un tratto, dentro una delle teche che doveva contenere animali, c’era invece tutt’altra singolare composizione. Un gruppo di europei, vestiti alla moda (del tempo), attorniati da case ordinate e mulini a vento, il grande oceano di fondo, accoglievano dei ‘nativi indiani’ che, a petto nudo e cresta in testa, arrivavano portando verdure e altri doni. Le loro donne seminude, cariche di ceste, camminavano a testa bassa. Un evidente stereotipo del Giorno del Ringraziamento, come ce lo rifilano da sempre. Il glorioso gruppo di pellegrini europei, che ha rischiato la vita per arrivare nel Nuovo Mondo, e ora festeggia con i nativi. Nativi naturalmente indiani e selvaggi, felicemente pronti ad essere colonizzati.
Ma una gigantesca scritta è stata di recente aggiunta all’interno di suddetta teca, sopra le teste dei protagonisti: “RECONSIDERING THIS SCENE”. Riconsideriamo questa scena, dicono. L’incontro del 1661, tra pellegrini e nativi, voleva celebrare i fondatori del nuovo mondo. Ma la scena offre solo stereotipi, ignorando quanto violenta sia stata in realtà la colonizzazione. Insomma, il museo invece di togliere la teca ha aggiunto una bella scritta, politicamente corretta. Fortunatamente, Saints and Strangers fa molto meglio di così.